E quel tunnel da ricordare

Era un venerdì come gli altri. Una di quelle sere comuni, in cui non vi fosse niente da programmare, niente che non si scrivesse da sé.
Anche se il copione non era ancora stato battuto, sapevamo già lo svolgersi dello spettacolo: stessa ora, stessa strada, stessi posti, stessi divertimenti . Ma non era lo stesso giorno; non era un venerdi’ perché era un sabato, lo ricordo bene: il giorno di befana. “Vabbè-“.-“giorno più, giorno meno, la trama del racconto resterà la stessa” direte voi.
Quella notte non avevamo detto a nessuno che saremmo usciti. “Nessuno si accorgerà della nostra presenza, vero Massi?” ti confidai mentre ero al volante. Era in programma una vera e propria toccata e fuga ma, fatte le ore piccole, ricordo che quella volta mi ascoltasti quando suggerii di non entrare in quell’ennesima discoteca.
E bastò un attimo per sconvolgere i nostri piani, e per condannare quel copione a vivere senza che quella sua ultima battuta fosse stata recitata.
Così salimmo in auto, e in men che non si dica ti ritrovasti a sonnecchiare ancora prima di imboccare la strada per Fornaci, come succedeva a me nelle volte che guidavi tu.
Eravamo nel tunnel, e la musica dell’autoradio, distorta dalla mancanza del segnale, assieme alle auto ingiallite dai lampioni e alle sagome in controluce che creavano l’effetto neon, ci fece immergere nell’atmosfera tipica degli anni ’80. Tutto passava davanti ai nostri occhi con cadenze irregolari, come fotogrammi di una pellicola dell’epoca, ad una velocità tale da chiedersi se fosse stato davvero possibile aver rivissuto i fantasmi del passato. Fin quando dal tunnel uscimmo noi, per arrivare alla curva. Girando a sinistra, un frastuono interruppe il leitmotiv di quell’auto radio…
In un istante il parabrezza si sbriciolò, lasciando che il fumo si impossessasse del nostro abitacolo, e che il talco degli airbag ci spolverasse addosso una bufera di granelli di sabbia, improvvisa come la neve d’estate.

Quando uscii dalla macchina per rendermi conto della gravità dell’accaduto, raggiunsi a piccoli passi il tuo sportello, con uno sguardo pieno di paura, ad aspettare una tua risposta. Ci fu uno scambio di occhiate, e poi un tuo sussurro: “Ale, io mi sa che resto ancora un po’ qua a sonnecchiare”. “Vai Massi, tanto ormai stasera se ne accorgeranno che siamo usciti….”.
Ma ti avevano già caricato in quell’ambulanza che di corsa sfrecciò via, svoltando la curva ed imboccando di nuovo il tunnel, come se, ripercorrendolo nel verso opposto, avesse potuto cambiare la trama di quel copione che, per dispetto o per destino, quella sera recitò una parte diversa.